Considerazioni sui bisogni educativi speciali (b.e.s.) in vista della formulazione del piano annuale dell’inclusivita’ (p.a.i.)

di Antonio Andrea Oggiano

Avendo letto su Notizie della Scuola n. 6 del mese di novembre il servizio redazionale di Antonia Carlini su Interventi per alunni con Bisogni Educativi Speciali e considerando che il tema è di importanza notevole oggi nelle scuole e, avendo seguito qualche giorno fa presso l’Università degli Studi di Sassari un seminario destinato a Dirigenti scolastici ed ai referenti del gruppo di lavoro per l’inclusività (G.L.I.) delle istituzioni scolastiche di ogni grado della provincia di Sassari intitolato Sulla via dell’inclusione in una prospettiva europea con interventi oltre che del Rettore prof. Attilio Mastino e del prof. Giuseppe Fara referente per la Regione Sardegna per il sostegno e le politiche giovanili, di studiosi come prof. Jo Lebeer dell’Università di Anversa (Belgio), prof. G. Chiappini dell’Università di Genova ed altri, vorrei fare una breve riflessione sulla tematica attualissima richiamando anche il recente passato. Già dal 2007, analizzai alcuni interessanti documenti sulla disabilità forniti come materiale di studio per la formazione dei docenti neo immessi in ruolo. In particolare, mi incuriosì  lo studio fatto da due psicologi: Dario Ianes e Sofia Cramerotti sui Bisogni Educativi Speciali e Inclusione. Questa scelta non è stata fatta a caso, ma derivata dalla mia esperienza di studio (Specializzazione SSISS più abilitazione al sostegno e Perfezionamento in Didattica per il sostegno alle diverse abilità oltre ad altri corsi frequentati) e di lavoro (per tre anni scolastici ho fatto l’insegnante di sostegno post specializzazione e per molti anni ho avuto nelle mie classi alunni disabili). Pur avendo fatto la scelta definitiva di insegnamento in classi di concorso definite normali, penso che un buon insegnante, anche se non di sostegno, debba avere una certa preparazione su queste tematiche, per poter intervenire meglio in classe e creare i presupposti di collaborazione e lavoro in equipe con i colleghi. La curiosità derivava dal fatto che i due psicologi non parlavano di disabilità  ma di Bisogni Educativi Speciali.

Anni addietro gli specialisti discutevano sul significato dei termini disabile e handicappato, la stessa O.M.S. (Organizzazione Mondiale della Sanità) ne fa esplicite e precise classificazioni e precisazioni di significato. Nel nostro comune vissuto scolastico, fino a partire da qualche decennio addietro, l’alunno in situazioni di handicap era inizialmente inserito in classi speciali o differenziate, riflettendo mi viene da pensare ai sistemi carcerari, dove i peggiori o coloro che sono considerati irrecuperabili vengono relegati in isolamento, separati dagli altri per non provocare contagi. Successivamente, si è arrivati ad inserire gli alunni con disabilità nelle classi normali, per promuovere l’inserimento di tutti e soprattutto abbattere quelle stupide barriere mentali e pregiudiziali che a volte anche gli insegnanti poco sensibili dimostrano di avere.

Nello svolgersi del medesimo seminario mi han colpito molto gli elogi e le considerazioni positive che in Europa fanno e hanno nei confronti dell’Italia su queste tematiche in quanto è stata la prima nazione che nel continente, e presa come esempio, a partire dagli anni ’70, ha eliminato le classi differenziate e parlato di inclusività riferiti in videoconferenza dallo studioso prof. Jo Lebeer dell’Università di Anversa (Belgio).

Nella mia esperienza di insegnamento ho potuto notare che, qualche volta, noi insegnanti, abbiamo degli atteggiamenti di rifiuto se non esplicito ma visibile ad una persona sensibile; da qui ne derivano alcuni comportamenti, come ad esempio non costruire un percorso comune con l’insegnante di sostegno, costringere questo ultimo ad uscire dall’aula e a isolarsi con l’alunno disabile o, addirittura invitare il collega di sostegno ad andare via quando l’alunno disabile è assente perché ci sentiamo tranquilli se non veniamo ascoltati durante la nostra lezione dal collega, dimenticando che l’insegnante di sostegno è di sostegno all’intera classe e non solo al ragazzo/a portatore di handicap.

Non bisogna dimenticare che spesso anche gli insegnanti di sostegno hanno le loro colpe perché non fanno niente per migliorare queste situazioni e anche perché, a volte, per comodità o per quieto vivere le accettano.

Tutti questi problemi nascono da una sostanziale mancanza di programmazione iniziale, di dialogo, di voglia di costruire e condividere percorsi comuni e interdisciplinari. C’è ancora poca sensibilità e preparazione in questo, all’uopo mi ricordo che nel 2001, mentre svolgevo una fase di tirocinio diretto durante il biennio di specializzazione  in una classe di scuola superiore, la collega che ci guidava nella conoscenza della scuola sentenziò: ricordatevi che realizzare l’interdisciplinarietà e la collaborazione tra colleghi è difficile perché tra insegnanti ci si scontra sempre.

In certe realtà forse sarà così, però il nostro compito è sempre quello di migliorarci per migliorare il nostro servizio agli utenti che sono gli alunni e, in modo particolare in tutti i gradi di istruzione, anche le famiglie spesso poco coinvolte pur avendone pienamente diritto e interesse.

Detto ciò, anche nel trattare la disabilità c’è una continua evoluzione, oggi gli alunni non si chiamano handicappati ma diversamente abili, proprio a sottolineare il fatto che anche loro hanno le abilità ma le esprimono in altri modi, con altri metodi, uno dei compiti dell’insegnante è di scoprire come un determinato alunno possa esprimere le proprie abilità. Oggi, anche nei registri di classe, dove sino a qualche anno fa, a fianco del nome dell’alunno diversamente abile veniva scritta una H, non si devono più distinguere i ragazzi. A volte, il ragazzo diversamente abile può anche eccellere in alcuni campi e dimostrarsi più bravo dei ragazzi considerati normodotati.

Tutte queste cose, scritte anche in letteratura, le ho potute riscontrare direttamente sul campo giorno dopo giorno nella mia attività di insegnante. Ritornando al seminario prima citato, mi è parso interessante anche l’intervento del prof. Filippo Dettori, docente di Pedagogia Speciale presso l’Università di Sassari, perché ha riferito di un sondaggio fatto da domande somministrate ad alunni di classi senza disabili e alunni di classi con disabili, si chiedeva loro come vedessero la disabilità e/o un eventuale disabile nella loro classe, in sostanza dai risultati è emerso che i primi vedono prima il problema “disabilità” (nei confronti del quale esprimono anche paura) e poi la persona, i secondi invece vedono prima la persona e in secondo luogo il problema.

Altro interessante intervento mi è parso quello della dott.ssa Maria Antonietta Meloni che svolge il dottorato di ricerca in Scienze Umanistiche e Sociali presso l’Università degli studi di Sassari. La relatrice ha parlato degli organizzatori grafici per un modello di didattica inclusiva alternativa, questi, scoperti e molto conosciuti e diffusi nelle scuole americane (in Italia non si conoscono tanto infatti se facessimo una ricerca su internet troveremo pochissimi link). Gli organizzatori grafici corrispondono agli otto fondamentali processi cognitivi: definire; descrivere; confrontare; classificare; mettere in sequenza; identificare relazioni tra l’intero e le parti; analizzare causa ed effetto; trovare analogie.

Come imparano gli studenti a costruirli? L’insegnante deve fornire modelli e spiegazioni; la classe invece deve co-costruire e fornire spiegazioni; i gruppi si costituiscono in cooperative learning, infine ogni allievo realizza il proprio Organizzatore Grafico (O.G.). Gli Organizzatori Grafici si possono usare in tutte le fasi della didattica anche nella verifica con illustrazioni e in attività di apprendimento collaborativo. Tra i benefici offrirebbero un valido aiuto per tutti gli alunni, soprattutto per quelli con Bisogni Educativi Speciali e con Disturbi specifici di Apprendimento, rimuoverebbero il sovraccarico linguistico, fornirebbero struttura e guida per una maggiore autonomia nello studio, offrirebbero un mezzo visivo per spiegare e organizzare idee e informazioni.  Questi risultati confermano chiaramente quanto sia importante sviluppare e promuovere il concetto di inclusività a più livelli.

Gli psicologi Dario Ianes e Sofia Cramerotti che approfondirono nel 2007 l’argomento sui Bisogni Educativi Speciali, sembra che abbiano voluto indagare su tutta la realtà di ogni classe ossia indagare anche su quegli alunni che, se pur non dichiarati disabili, mostrano una serie di problemi e di bisogni educativi speciali. Anche per questi alunni è necessario un intervento individualizzato. Queste difficoltà possono collocarsi sia a livello organico, sia a livello familiare, ambientale, contestuale, sociale e culturale. La presenza di queste situazioni e la combinazione di più concause può quindi portare a difficoltà, ostacoli o rallentamenti nei processi di apprendimento. Sempre di più si parla quindi di varie forme di difficoltà di apprendimento, di alunni che per una qualche loro difficoltà preoccupano gli insegnanti. Nelle classi si trovano infatti molti alunni con difficoltà nell’ambito dell’apprendimento e dello sviluppo di competenze. Il concetto di bisogno educativo speciale che gli autori propongono, riguarda la sensibilità ossia la necessità che gli insegnanti si accorgano nel minor tempo possibile delle difficoltà e dei bisogni degli alunni. E’ chiaro che questo concetto non va troppo esteso, altrimenti, si rischia di coinvolgere troppi soggetti che gli autori definiscono falsi positivi e quindi risultare dannoso. Il bisogno educativo speciale ha i caratteri della reversibilità e della temporaneità, questo potrebbe creare maggior tranquillità rispetto alla condizione di disabilità dichiarata poiché questa ultima, dà il senso di cosa consolidata e dalla quale non si può uscire completamente. Nell’analisi dei bisogni educativi speciali va considerato qualsiasi tipo di difficoltà che può essere individuata in un ragazzo/a fino ai diciotto anni. Come già accennato, queste difficoltà possono essere di qualsiasi tipo e si manifestano negli ambiti di educazione e di apprendimento, quindi coinvolgono vari ambiti come gli apprendimenti scolastici e di vita quotidiana, lo sviluppo di attività personali e di partecipazione ai vari ruoli sociali. Attualmente il numero dei bisogni educativi speciali è chiaramente aumentato, è conosciuto in Europa (Special Educational Needs) si va dallo svantaggio sociale e culturale alle difficoltà perché si parla una lingua straniera ecc., essi vanno inseriti in tre sottocategorie: quella della disabilità, quella dei disturbi evolutivi specifici e quella dello svantaggio socioeconomico, linguistico e culturale. In Italia la legge 104/92 non da diritto ad una particolare considerazione (ad esempio assunzione per la classe dell’insegnante di sostegno) del discente riconosciuto con bisogni educativi speciali da parte della scuola, si è ovviato a questa mancanza con la legge 170/2010 e la legge 53/2003 che prevede invece la presa in carico dell’alunno da parte di tutto il team docente che deve elaborare un particolare corso di formazione (vedi Sergio Auriemma, Codice della scuola, vol. 1, p. 2200-2201, Tecnodid, 2014). In definitiva per dare una risposta del tutto esaustiva a tutti quei ragazzi che mostrano bisogni educativi speciali, la scuola deve attivare molte risorse in modo metodologicamente corretto. Quali sono le cose da fare prima e quelle da fare dopo? Se non ci si mette d’accordo su ciò si corre il rischio che si rimpallino le responsabilità e si arrivi ad un nulla di fatto. E’ consigliabile che si cominci da ciò che gli autori Ianes e Cramerotti considerano la normalità, arricchita di quello che serve di specialità, e poi gradi successivi di sempre maggiore specialità (quando necessario), fino a risorse anche molto tecniche e speciali.

Considerazioni sui bisogni educativi speciali (b.e.s.) in vista della formulazione del piano annuale dell’inclusivita’ (p.a.i.)ultima modifica: 2014-05-25T23:00:52+02:00da learninggroup
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